Noi e gli africani: due mondi, un unico destino

La ragnatela finanziaria tesse le sue fila invisibili imprigionandoci tutti.

 
Lubumbashi, RDC – Agosto 2011.

Da circa un mese mi trovo nella città di Lubumbashi situata nella provincia del Katanga, una regione a sud della Rep. Dem. del Congo. La villetta coloniale nella quale alloggio si trova in uno dei quartieri bene della città. Eppure manca l’acqua potabile, non ci sono tubature idriche, la corrente salta e spesso non torna più per tutto il resto della serata lasciandoci al lume di candela. I nostri vicini hanno più corrente di noi, ma spostandosi in tutti gli altri quartieri l’elettricità è praticamente inesistente.

Ogni giorno una Jeep mi porta nei villaggi lungo la Kasumbalesa, la strada che dalla città porta in Zambia. Appena si spegne il motore rombante della jeep e metto piede sulla rossa terra africana, un gruppo di bambini scalzi, sporchi e sorridenti mi accerchia e, nonostante io non sappia una parola di swaihili e loro di italiano, ci capiamo con uno sguardo e giochiamo insieme spensieratamente.

Le capanne dei villaggi sono fatte di mattoni, paglia e lamiere;  il centro di salute di Kaniaka non avrebbe corrente neppure per tenere in frigo i medicinali se non fosse per un gigantesco container che garantisce un minimo di elettricità. Il resto del villaggio è al buio. Ma questo è niente in confronto ad altri villaggi lontani dalla strada principale ed isolati in mezzo al bush africano, dove manca l’acqua, la scuola, il centro di salute e naturalmente anche l’elettricità.

Questo è quanto accade in una parte del mondo. Nell’altra, invece, l’elettricità abbonda, nessuno ne rimane  senza, se ne fa un uso spropositato e tanti sono gli sprechi. Basta spingere un dito sull’interruttore e come per magia ecco la luce. Ma una cosa così scontata per noi occidentali non lo è tuttavia per i popoli dell’Africa nera.
Bisognerà pur conciliare queste due realtà  e vedere quali siano i rapporti  tra due mondi così diversi. Ed ecco qui che la storia di due dighe sul fiume Congo e il progetto di una terza mega-diga, Grand Inga, viene a costituire un perfetto esempio delle relazioni che intercorrono tra queste due realtà.

L’energia delle due dighe in funzione viene distribuita in parte tra la capitale Kinshasa e le industrie della regione Katanga e in parte al Sudafrica. L’elettricità che si ricaverebbe dal progetto della terza diga, invece, andrebbe in gran parte sul mercato dell’esportazione: un elettrodotto arriverebbe fino al Mediterraneo per portare energia alla bisognosa Europa. Così la popolazione africana al buio dovrà rimanerci ancora per molto tempo.

A Lubumbashi mi hanno raccontato che in occasione dei Mondiali 2010 in Sudafrica, la già scarsa energia che arrivava in città è stata spostata verso gli stadi sudafricani illuminati a dovere per il grande evento. Così vi è stato il black-out in un intero Paese, mentre  le squadre di tutto il mondo dovevano pur sempre giocare la loro partita di calcio.

Il deficit di sovranità dei Paesi africani unito alla ricchezza di materie prime di questo continente porta le grandi multinazionali e la finanza senza scrupoli che tutto muove, a sfruttare questi Paesi e a sottrargli le risorse che gli servirebbero per avviare un processo di sviluppo duraturo.

Ai nostri giorni la speculazione muove ogni cosa, dai capitali alle risorse energetiche, dalle materie prime alle politiche dei vari Paesi. Vi è come una ragnatela invisibile che viene tessuta sopra le nostre teste dalla finanza internazionale e tutti ne rimaniamo intrappolati: noi occidentali afflitti da una crisi sistemica globale e i poveri del terzo mondo privati di ogni sostentamento.

Tutto questo ci dice che siamo pur sempre tutti accomunati da uno stesso destino e siamo legati l’uno all’altro molto più di quanto potremmo immaginare.

Alberta Romano